L'intervista a Giovanna Mezzogiorno che debutterà martedì 25 maggio con "4:48 Phychosis". La pièce teatrale più sconvolgente di Sarah Kane sarà in scena al Palladium fino al 6 giugno. La regia è di Piero Maccarinelli
"4:48 Phychosis" è un testo dotato di una tessitura verbale intensa, fatta di parole che feriscono, ammaliano e seducono. Ecco perché si rivelava assolutamente necessario che ad interpretarlo fosse un'attrice scevra dai vizi e dai vezzi del teatrante. A sostenerlo è il regista Piero Maccarinelli che ha deciso di cimentarsi nella messa in scena della sconvolgente pièce di Sarah Kane, la scrittrice inglese morta suicida a soli 28 anni, di comune accordo con una delle artiste più accreditate del momento, Giovanna Mezzogiorno. Lo spettacolo, un monologo di un'ora ed un quarto, sarà proposto sul palcoscenico del Palladium dal 25 maggio al 6 giugno. E si tratta della prima tappa del percorso ideato da Artisti Riuniti, un'associazione che nasce con l'intento di riavvicinare i tre mezzi espressivi del cinema, del teatro e della televisione.
La linea adottata per la traduzione, curata da Gian Maria Cervo, ha cercato di restituire tutti i giochi verbali dell'autrice, pieni di rime, di complessità terminologiche, di inversioni di significato. Martux_M e Fabio Gionfrida, invece, hanno affrontato la parte relativa all'architettura sonora, concepita come una serie di "luoghi di sensazioni" piuttosto che al livello di musica di commento al testo.
Per Giovanna Mezzogiorno "4:48 Phychosis" rappresenta il ritorno al teatro dopo nove anni di assenza. Abbiamo chiesto all'attrice cosa l'abbia spinta ad affrontare questo monologo tanto impegnativo.
"Avevo voglia di tornare al teatro dopo tutto questo tempo. E volevo farlo con un testo che mi mettesse veramente alla prova. Dopo anni di cinema, una persona si abitua a muoversi nell'ambiente: vive nel suo humus. Sentivo il bisogno di rompere questa sicurezza per tornare indietro a livello di sensazioni, di paure e di curiosità. Il teatro è un qualcosa di estremo, l'attore è nudo davanti al pubblico, con limiti e talenti. E per me, dopo nove anni, è come se lo affrontassi per la prima volta".
Crede che possa un'esperienza rigenerante per un'attrice?
"Sì, penso che le persone normalmente impegnate al cinema ogni tanto debbano cimentarsi nel teatro, per porsi di fronte a cose nuove, di cui non si accorgono...parlo di limiti come di capacità. Il palcoscenico permette di arrivare ad una conoscenza maggiore di se stessi, del proprio coraggio. Riandare sul set dopo un'esperienza del genere è un qualcosa di molto interessante, indipendentemente dalla riuscita dello spettacolo".
Cosa l'ha colpita del testo?
"La forza ed il coraggio con cui Sarah Kane ha scritto cose così ostiche, complicate, provocatorie, contraddittorie. Avrebbe potuto realizzare un diario, un libro, alcune poesie. Invece ha scelto il teatro, mezzo di comunicazione per antonomasia, proponendo cose molto difficili da capire anche per noi che le mettiamo in scena. Il testo è interessante, mai ovvio. E questo mi colpisce. Se fossi uno spettatore, ne rimarrei sbalordito".
Dal punto di vista interpretativo che tipo di difficoltà ha dovuto affrontare?
"Il primo problema che questo testo mi ha posto è relativo al fatto di trovarmi in scena da sola per un'ora ed un quarto, senza possibilità d'interazione con altri attori. Inoltre, è stato molto difficile trovare modulazioni all'interno del testo pur rispettandone la linearità: è uno scritto molto costante e secco. È necessario rispettare la partitura, ma anche trovare un movimento interno. E poi, è la prima volta che mi trovo a dover imparare un lavoro così lungo, anche questo è stato un grande scoglio".
Piero Maccarinelli sostiene che "4:48 Phychosis" è un testo che non permette di avere ancore di salvataggio. Parlando della recitazione, cosa significa questa espressione?
"Io sono sola sul palcoscenico, fattore che non mi offre vie di fuga. Ma fa parte del gioco. Quando ho scelto il monologo, piuttosto che la commedia, mi sono detta: 'mi metto in gioco veramente, non voglio aiuto!'".
La scelta del teatro è un modo per tornare al grande amore?
"Io sono appassionata di teatro, così come lo sono di cinema. Ma non preferisco nell'uno né l'altro. Sono giusti entrambi, ed ugualmente appartenenti alla vita dell'interprete. Non credo, come spesso sostengono alcuni attori, che l'uno sia meglio, l'altro peggio. Sono convinta che tutti e due siano importanti, fondamentali. Pur essendo due mezzi di comunicazione completamente diversi, ognuno a suo modo non permette di mentire".
Lei in teatro ha portato in scena il personaggio di Ofelia, ora quello di una donna complessa, che si suicida. Ha una predilezione per il genere?
"Non lo so...a questo punto mi viene il dubbio. In realtà, il ruolo di Ofelia venne offerto da Peter Brook perché avevo 19 anni, ero giusta per quello che lui aveva in mente: usò anche il mio essere completamente spaesata, visto che mi trovavo a fare teatro con una delle compagnie più importanti del mondo. '4:48 Phychosis' mi interessa per altre ragioni. È un testo duro, drammatico. In futuro, però, spero di cimentarmi anche in altro. Non penso di immettermi in una strada di dolore".
Teatro, televisione, cinema. Un'attrice a 360 gradi?
"Sono contenta perché ho la fortuna di poter fare tutte e tre le cose. Il mezzo con cui mi confronto con maggiore timore e diffidenza è proprio quello televisivo. Può essere una trappola mostruosa: è uno strumento che consente di fare grandi cose, ma il rischio è quello di entrare in un gorgo da cui è difficile uscire. È il mezzo da cui mi tengo maggiormente alla lontana, anche se non c'è snobbismo da parte mia".
La linea adottata per la traduzione, curata da Gian Maria Cervo, ha cercato di restituire tutti i giochi verbali dell'autrice, pieni di rime, di complessità terminologiche, di inversioni di significato. Martux_M e Fabio Gionfrida, invece, hanno affrontato la parte relativa all'architettura sonora, concepita come una serie di "luoghi di sensazioni" piuttosto che al livello di musica di commento al testo.
Per Giovanna Mezzogiorno "4:48 Phychosis" rappresenta il ritorno al teatro dopo nove anni di assenza. Abbiamo chiesto all'attrice cosa l'abbia spinta ad affrontare questo monologo tanto impegnativo.
"Avevo voglia di tornare al teatro dopo tutto questo tempo. E volevo farlo con un testo che mi mettesse veramente alla prova. Dopo anni di cinema, una persona si abitua a muoversi nell'ambiente: vive nel suo humus. Sentivo il bisogno di rompere questa sicurezza per tornare indietro a livello di sensazioni, di paure e di curiosità. Il teatro è un qualcosa di estremo, l'attore è nudo davanti al pubblico, con limiti e talenti. E per me, dopo nove anni, è come se lo affrontassi per la prima volta".
Crede che possa un'esperienza rigenerante per un'attrice?
"Sì, penso che le persone normalmente impegnate al cinema ogni tanto debbano cimentarsi nel teatro, per porsi di fronte a cose nuove, di cui non si accorgono...parlo di limiti come di capacità. Il palcoscenico permette di arrivare ad una conoscenza maggiore di se stessi, del proprio coraggio. Riandare sul set dopo un'esperienza del genere è un qualcosa di molto interessante, indipendentemente dalla riuscita dello spettacolo".
Cosa l'ha colpita del testo?
"La forza ed il coraggio con cui Sarah Kane ha scritto cose così ostiche, complicate, provocatorie, contraddittorie. Avrebbe potuto realizzare un diario, un libro, alcune poesie. Invece ha scelto il teatro, mezzo di comunicazione per antonomasia, proponendo cose molto difficili da capire anche per noi che le mettiamo in scena. Il testo è interessante, mai ovvio. E questo mi colpisce. Se fossi uno spettatore, ne rimarrei sbalordito".
Dal punto di vista interpretativo che tipo di difficoltà ha dovuto affrontare?
"Il primo problema che questo testo mi ha posto è relativo al fatto di trovarmi in scena da sola per un'ora ed un quarto, senza possibilità d'interazione con altri attori. Inoltre, è stato molto difficile trovare modulazioni all'interno del testo pur rispettandone la linearità: è uno scritto molto costante e secco. È necessario rispettare la partitura, ma anche trovare un movimento interno. E poi, è la prima volta che mi trovo a dover imparare un lavoro così lungo, anche questo è stato un grande scoglio".
Piero Maccarinelli sostiene che "4:48 Phychosis" è un testo che non permette di avere ancore di salvataggio. Parlando della recitazione, cosa significa questa espressione?
"Io sono sola sul palcoscenico, fattore che non mi offre vie di fuga. Ma fa parte del gioco. Quando ho scelto il monologo, piuttosto che la commedia, mi sono detta: 'mi metto in gioco veramente, non voglio aiuto!'".
La scelta del teatro è un modo per tornare al grande amore?
"Io sono appassionata di teatro, così come lo sono di cinema. Ma non preferisco nell'uno né l'altro. Sono giusti entrambi, ed ugualmente appartenenti alla vita dell'interprete. Non credo, come spesso sostengono alcuni attori, che l'uno sia meglio, l'altro peggio. Sono convinta che tutti e due siano importanti, fondamentali. Pur essendo due mezzi di comunicazione completamente diversi, ognuno a suo modo non permette di mentire".
Lei in teatro ha portato in scena il personaggio di Ofelia, ora quello di una donna complessa, che si suicida. Ha una predilezione per il genere?
"Non lo so...a questo punto mi viene il dubbio. In realtà, il ruolo di Ofelia venne offerto da Peter Brook perché avevo 19 anni, ero giusta per quello che lui aveva in mente: usò anche il mio essere completamente spaesata, visto che mi trovavo a fare teatro con una delle compagnie più importanti del mondo. '4:48 Phychosis' mi interessa per altre ragioni. È un testo duro, drammatico. In futuro, però, spero di cimentarmi anche in altro. Non penso di immettermi in una strada di dolore".
Teatro, televisione, cinema. Un'attrice a 360 gradi?
"Sono contenta perché ho la fortuna di poter fare tutte e tre le cose. Il mezzo con cui mi confronto con maggiore timore e diffidenza è proprio quello televisivo. Può essere una trappola mostruosa: è uno strumento che consente di fare grandi cose, ma il rischio è quello di entrare in un gorgo da cui è difficile uscire. È il mezzo da cui mi tengo maggiormente alla lontana, anche se non c'è snobbismo da parte mia".